Qualche consiglio un po' di "nicchia", libri di cui si è parlato poco ma secondo me davvero meritevoli e da recuperare approfittando degli sconti.
• Einaudi: Hotel Silence, eletto libro dell'anno in Islanda, parla di Jónas, un uomo di mezza età con un talento per riparare le cose, ma la sua vita non è altrettanto facile da sistemare. Reduce da un divorzio, scopre che sua figlia in realtà non è sua, mentre sua madre si perde sempre di più nella demenza. Jónas, persi i suoi punti di riferimento, inizia a meditare il suicidio e sceglie di farlo lontano da casa, in un paese appena uscito dalla guerra. Qui, giorno dopo giorno, ritrova la capacità di ricominciare. Poetico ed essenziale.
(Non fatevi spaventare dal supercorallo, è uscito anche in tascabile).
• Adelphi: conosciuta principalmente per La vegetariana, questo è il secondo titolo edito in Italia di Han Kang (autrice per me da Nobel). Atti umani narra la storia di un passato che si voleva cancellato. Attraverso le storie di un quindicenne, una redattrice, un prigioniero e una giovane operaia si dà voce alla guerra civile che colpì la Corea del Sud e a tutti i suoi orrori. Lirico, spietato e bellissimo.
• Bompiani: Su una spiaggia del mar Arabico viene ritrovato il corpo di una donna. Paz, un'artista spagnola in fuga da un'Europa che le stava troppo stretta. César, il suo ex marito, viene chiamato per il riconoscimento. Sconvolto, inizia a ripercorrere la sua storia raccontandola al figlio Hector.
L'arte, l'amore e l'Europa, con le sue bellezze e i suoi malanni. "Immersione è la storia di una coppia in balia di un'epoca, la nostra, in cui è sempre più difficile amare".
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Questi sono i miei tre consigli (le recensioni più approfondite le trovate sul blog o scorrendo il profilo), fatemi sapere se siete rimasti incuriositi, se ci farete un pensierino, o anche se avete già adocchiato qualcos'altro 💪
"Ancora un minuto dopo l'altro, un'ora dopo l'altra, sempre le stesse cose, senza fine, e la fine inevitabile sempre più orribile."
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«Un uomo vive, si ammala e muore. Accade la cosa più normale o la più terribile, e Tolstoj mette in risalto che la cosa più normale è proprio quella più terribile e insensata», basterebbero anche solo queste poche parole di Michail Bachtin.
Chi conosce anche sommariamente la vita di Tolstoj sa che in un certo momento della sua vita è stato travagliato da una profonda crisi spirituale, che sfocerà internamente con la conversione al Cristianesimo, esteriormente con il racconto lungo più celebre della letteratura.
Ivan Il'ic è un uomo comune, un giudice della medio-alta borghesia del tempo, una persona sempre sul filo del decoro, della compostezza e del buon costume. Poi un banale incidente, la malattia, il dolore, la crisi interiore, la paura, i quesiti esistenziali, e infine la consapevolezza.
In preda al proprio male, Ivan ripercorre interiormente la sua vita, scoprendo il velo di superficialità e banalità dietro il quale si era sempre nascosto, capendo che "tutto quello di cui hai vissuto e vivi è menzogna, inganno, che ti nasconde la vita e la morte."
Con un'opera di sottrazione e straniamento Tolstoj dà forma all'eterno quesito umano: "perché la morte?".
E...
"E all'improvviso ciò che lo tormentava e che non tornava, – tutto all'improvviso cominciò a tornare, da un lato, da due, da dieci, da tutti i lati.
Cercò la sua solita paura della morte e non la trovò. Dov'è? Ma che morte? Non c'era più paura perché non c'era più morte. Invece della morte, la luce."
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Dopo averlo letto, Cajkovskij ha detto: "Non ho dubbi. Il più grande scrittore di tutti i tempi è Lev Tolstoj."
Io dopo averlo letto: "Non ho dubbi. Il più grande racconto di tutti i tempi è La morte di Ivan Il'ic."
"Tali esperienze mi hanno convinto che non è sempre possibile restaurare i propri confini dopo che sono stati turbati e resi permeabili da una relazione: per quanto ci proviamo, non possiamo ricostruirci nella forma autonoma che in precedenza immaginavamo di avere. Qualcosa di noi si trova all'esterno, e qualcosa di esterno è adesso dentro di noi."
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La prima cosa che colpisce è lo stile narrativo, sotto forma di monologo-racconto ad una controparte silente, che a quanto ho sentito dire è piaciuto a pochi, mentre io l'ho trovato un espediente geniale e perfetto per raccontare un passato prossimo.
Changez è un ragazzo pakistano laureato a Princeton e che a soli ventidue anni si ritrova in una azienda newyorkese con un salario di ottantamila dollari annui; frequenta gli amici, viaggia per il mondo, si innamora di Erica (che convive con un dolore tutto suo), finché arriva l'11 settembre.
In Changez comincia a smuoversi qualcosa, la sua barba inizia a crescere, e gli occhi di chi ha intorno iniziano a farsi diffidenti.
Nel suo monologo racconta questo dissidio interiore, la sua identità confusa, oltre che la malinconia di poter solo sfiorare Erica.
Man mano che gli eventi scuotono il mondo medio-orientale, Changez diventa sempre più consapevole: la sua terra, ricca di cultura e tradizione, è ora scenario bellico, e gli Stati Uniti per cui lui lavora non facevano altro che assistere inermi, stigmatizzando addirittura un intero popolo come terroristi.
Forse anche Changez è un fondamentalista, ma dietro la sua barba non c'è oscurantismo o ostilità, ma la consapevolezza della dignità e dell'integrità violata del proprio popolo. Si tratta semplicemente di dar ascolto ai pensieri, senza lasciarsi coinvolgere dallo stigma medio-orientale, e ascoltare le parole di Changez - seppur personaggio letterario - è molto più utile che dar adito ai proclami di fantocci politici, purtroppo reali.
(P.s. il finale è pura maestria di scrittura).
Questo è un passo tratto da un mio racconto, un racconto che ho voluto dedicare a Bologna in memoria di un pezzo tragico della nostra storia. Non ho mai capito perché, ma mi ha sempre toccato nel profondo quell'evento, forse perché sento un legame speciale con quella città.
Ma non voglio fare un pippone né sulla Strage di Bologna, né tantomeno sulla Shoah, ma solo porre l'accento sul ricordare.
Ieri la storia si è macchiata di crimini atroci, ma oggi lasciamo a morire le persone in mare. Inermi.
Così come noi verso il passato, una futura generazione ci chiederà come abbiamo potuto permettere tutto ciò.
Per questo è fondamentale ricordare.
Perché degli esseri umani sono stati discriminati e sterminati perché erano diversi.
Perché oggi succede lo stesso, cambia solo la forma.
Perché la guerra più stupida e cruenta che esiste è quella civile, fratelli contro fratelli.
Perché gira che ti rigira siamo tutti dello stesso ciottolo ai confini dell'universo.
Perché la memoria è l'unica cosa che ci rende umani.
Così inizia, con un lupo che attraversa il confine per dirigersi verso Berlino, proprio dove sbanda un’autocisterna che causa un tamponamento a catena e un ingorgo di oltre quaranta chilometri. Tomasz, operaio pendolare, si stava dirigendo in fabbrica quando rimane bloccato in autostrada, ed è lì che vede il lupo, vicino ad un cartello, e lo fotografa. Poi il lupo scompare e la sua immagine comincerà a diffondersi.
Da quell’istante il lupo diventa il pretesto su cui ruota tutta la narrazione. Una figura fantasmatica che appare in vari punti della città, caricandosi di un’aura quasi leggendaria per gli abitanti del luogo, consentendo all’autore di mettere in scena i suoi attori.
Personaggi che appaiono e scompaiono, personaggi che non hanno apparentemente nulla a che fare gli uni con gli altri, calati in una Berlino gelida e tetra, una Berlino in piena ricostruzione dopo l’unificazione delle due Germanie, in piena ondata migratoria, gli edifici abbandonati, la povertà dilagante e l’alcol come unica panacea.
Una narrazione quasi confusionaria, ma che trova nella sua totalità un’armonia di fondo.
Il romanzo di Schimmelpfenning è carico di simbolismi: un lupo, nel ventunesimo secolo, riesce ancora a scuotere di paura gli abitanti di un Paese, nonostante le innovazioni e i cambiamenti, la paura dell’ignoto durante un clima di cambiamento e transizione, forse presagio di una crisi su cui riflettere.
(C'è la recensione completa sul blog 👌)
Il libro esce ufficialmente domani 💪
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[Grazie alla @fazieditore editore che mi ha permesso di leggerlo in anteprima]
L'anno scorso, proprio di questi tempi, mi sono approcciato a Carrère per la prima volta con L'Avversario, rimanendone piacevolmente impressionato, e così ho cominciato ad interessarmi a quest'autore.
La vita letteraria di Carrère è divisa in due, da una parte gli scritti da narratore puro, dall'altra quelli che Capote chiamava "romanzi-verità".
La linea di demarcazione sta proprio in questi due titoli: L'Avversario, che segna il nuovo passaggio; La settimana bianca, punto culmine della sua attività narrativa.
Ciò che spesso ho notato è che si è soliti giudicare questo autore solo in parte, accettandone solo uno stile letterario a discapito dell'altro. Naturalmente questa scelta è di carattere puramente soggettivo, c'è chi preferisce la sua scrittura di fantasia e chi quella "vera", in base anche a quelli che sono i propri gusti, e su questo alzo le mani.
Ciò che però mi sento di affermare è - comunque la si veda - che siamo di fronte ad un autore dalla maestria indiscutibile.
Carrère ha un'abilità straordinaria a tratteggiare i particolari, ogni dettaglio è curato con le parole giuste, creando un'atmosfera vivida all'interno delle sue pagine. Ma più di ogni altra cosa ha un talento straordinario nel descrivere le sensazioni e i sentimenti, specie quelli più torbidi e reconditi, giocando sulle paure ataviche, sull'interiorità dei propri personaggi.
Così è anche in questo romanzo, un noir "al contrario" che fa dell'ansia la sua arma di forza, perché tutto giocato all'interno della vittima indiretta. Il male ci viene raccontato tramite gli occhi di un bambino, Nicholas, tramite i suoi turbamenti, le sue pulsioni e fantasie. Ogni pagina scava sempre di più nel suo abisso interiore, dando una forma palpabile all'angoscia e alla percezione del male, contagiandoci a livello psichico e trasportandoci in un'atmosfera ansiogena ma magnetica, da cui è impossibile staccarsi fino alla fine.
Per concludere: non scelgo né il Carrére narratore, né il Carrére documentarista, ma scelgo il Carrére scrittore in toto, perché mi rendo conto di trovarmi davanti a una penna eccelsa che riesce a catturarmi in tutte le sue forme.
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p.s. cosa altro mi consigliereste di questo autore?